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Attendismo e diritti, e il dovere? Serve un reiquilibrio

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Attendismo e diritti. Una confusa ideologia della libertà sta rischiando di alimentare un dogmatismo che si sta rivelando sempre più ostile alla stessa libertà. Non può, a mio parere, essere possibile che i diritti umani siano solo diritti di libertà  e credo che la rivendicazione di diritti senza misura conduce a un loro illimitato conflitto. Per  molti secoli il linguaggio dei diritti era sostanzialmente assente e quello dei doveri dominante, per cui l’eccellenza e la dignità dell’uomo erano collegate alla conoscenza dei doveri. Lo chiarisce Possenti in un articolo su Avvenire All’epoca dell’Illuminismo Kant pose con ragione l’accento sulla correlazione tra doveri e diritti e si fa questa domanda: “Perché la dottrina dei costumi (la morale) è chiamata abitualmente (specialmente da Cicerone) la dottrina dei doveri, e non anche quella dei diritti, tenuto conto che in verità gli uni si riferiscono agli altri? “. Apparirebbe opportuno oggi  riformulare la domanda di Kant, invertendone i termini: “perché la morale e il diritto vigente sono chiamati dottrina dei diritti e non anche dei doveri?”.  Il punto di cerniera tra diritti e doveri è rappresentato dalla legge morale naturale che mentre prescrive doveri, riconosce anche i diritti legati alla natura stessa dell’uomo. Appare dunque evidente una distorsione di riconoscere i  diritti umani in Occidente  che si fonderebbe nel divieto di interferire nella sfera altrui, e che di conseguenza in loro si esprima l’impossibilità di chiedere ad altri qualcosa che questi possono dare solo nella forma dello scambio: io appartengo solo a me stesso; io sono mio, io sono irrelato e non instauro rapporti con gli altri se non contrattualmente. Frequentemente si punta sul singolo inteso senza affetti, senza inserimento in una reale comunità. Oggi serve un riequilibrio  fra libertà e responsabilità, senza la quale l’appello indifferenziato ai diritti individuali può generare abusi e condurre all’anarchia.  Esiste un dovere morale di solidarietà che va urgentemente recuperato e senza il quale il senso stesso di molti diritti si degrada. E’ un’urgenza di questi tempi che va affrontata, anche a seguito di tanti scontri umani e sociali in atto, come per il caso dell’emigrazione e che pone questioni dirimenti, affrontate anche nel programma dell’agenda  Onu 2030. Mi permetto di riportare integralmente cosa dichiarò Sergio Marchionne, l’ex amministratore Fiat  in un  suo memorabile discorso. Credo sia molto utile per una riflessione collettiva se naturalmente la si fa scevra da pregiudizi e annacquate posizioni ideologiche, che magari annullano poi l’opportuna riflessione. Ecco il testo:   “Io non sono un professore di storia e ne di sociologia, ma ogni tanto mi è capitato di pensare da dove nasca tutto ciò: la risposta che mi sono dato è che in modo paradossale ogni tanto le grandi conquiste portano a risvolti imprevedibili e non voluti. E così è successo nel ’68: un movimento di lotta, pienamente condivisibile, che ci ha permesso di compiere enormi passi avanti nelle conquiste sociali e civili, ha avuto purtroppo un effetto devastante nei confronti dell’atteggiamento verso il dovere.  Oggi viviamo nell’epoca dei diritti: il diritto al posto fisso, al salario garantito, al lavoro sotto casa, al diritto di urlare e a sfilare e il diritto a pretendere. Lasciatemi dire che i diritti sono sacrosanti e vanno tutelati, ma se continuiamo a vivere di soli diritti, di diritti moriremo.  Perché questa evoluzione della specie crea una generazione molto più debole di quella precedente, senza il coraggio di lottare con la speranza che qualcun altro faccia qualcosa. Una specie di attendismo che è perverso ed è involutivo. Per questo credo che dobbiamo tornare ad un sano senso del dovere, alla consapevolezza che per avere bisogna anche dare. Il bisogno di scoprire il senso e la dignità dell’impegno, il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione dell’oggi e soprattutto del domani.”  Mi fermo qui, con la consapevolezza che se il mio lettore è arrivato fino alla fine di questo editoriale, avrà senz’altro maturato qualche considerazione. Un caro saluto e a presto.  Agostino Ingenito 

 

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