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Quel fluid gender che evoca libertà per una modernità liquida e di interregno

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L’editoriale della domenica a cura di Agostino Ingenito.  Si fa gran parlare in queste ore  di “fluid gender”,  volendo quasi intendere così che, con tale atteggiamento di “libertà”, ci si sia allontanati per sempre dalla guerra dei sessi. Un obiettivo che appare tutt’altro semplice da raggiungere e che certo mette in discussione non già solo il genere ma anche la stessa modalità di vita sociale e culturale.  E’ uno dei messaggi emersi palesemente  durante il Festival di Sanremo, con tanti artisti che si sono esibiti sul palco, lanciando una narrazione nient’affatto criptica, esternata, e direi emersa in forma che mi è apparsa però più “estetica” che di inversione di tendenza esistenziale. Difficile che basti una narrazione per garantire un autentico “cambiamento di paradigma” così come descritto per la prima volta da Thomas Kuhr. Certo, il simbolismo,  con nuove esperienze, è senz’altro quella necessità umana che consente che un contenuto concettuale si trasformi in un cambiamento – volendo scomodare il filosofo Ernst Cassirer – tuttavia queste emergenti “tendenze” sono a mio parere, una parte di quella “modernità liquida” preconizzata da Bauman – quel “divenire” in cui è costante il cambiamento e certo l’incertezza. E cosi da quella società solida in cui il futuro era aspirazione di stato di perfezione, in questo nostro tempo la modernizzazione ci offre un futuro ignoto e per questo valido per correre il rischio di non lasciarsi sfuggire opportunità ed esperienze che sono sconosciute ma inevitabili. Una transizione non “globalizzata” perchè avviene in tempi e modalità differenti nelle diverse società contemporanee. Certo in una condizione di “liquidità” tutto sembra possibile ma niente appare certo, determinando lo scoramento e la paura rispetto alla necessità di avere punti fermi. Quella pandemia in cui siamo immersi, è simile a tante altre che hanno vissuto generazioni prima di noi e che portavano diffidenza, chiusura in se stessi e tensioni sociali notevoli come il rischio di perdita dell’identità culturale che può essere fermato solo mediante il rispetto reciproco dei diritti sociali e civili. Essere moderni dunque costa fatica, incertezza e fa emergere paure, quelle ataviche dell’uomo, fatte emergere in quel “cor che si spaura” tra i versi di quell’Infinito che consentirono a Giacomo Leopardi di cercar quella libertà oltre quella “siepe” che è spesso la zavorra che ci limita e non ci fa andar oltre. Viviamo in un periodo di “interregno” tra il “non più” e il “non ancora” e questo ci preoccupa e ci assilla e spesso inseguiamo novelli pifferai che in forza di una melodia binaria sembra garantirci una semplificazione dell’esistere che però non può attuarsi. Non esistono pacchetti preconfenzionati  o formule utili per tutte le stagioni. Il nostro spirito di adattamento ci aiuta ad accettare la “modernità” e a tener conto che tutto è interdipendente tra noi, malgrado diversità di status e condizioni. Auguri a noi, nuovi viandanti in un percorso accidentato ma che ci fa protagonisti del nostro esistere.

Nella foto l’opera “Vincolo di unione” realizzata da Maurits Cornelis Escher

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